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La Chiesa dei SS. Pietro e Paolo in Graglia Piana – Brovello Carpugnino
Ci troviamo alla presenza di un edificio religioso di ampie dimensioni rispetto al territorio circostante, dove non vi sono grandi insediamenti abitativi ma boschi di castagni e faggi “ (...in campagna della villa di Graglia...), in loco ove si dice S. Pietro della Selva..”. Anche il campanile è il più alto (oltre 25 m) e bello del Vergante.
Questa ubicazione e questi volumi non devono trarre in inganno, in quanto il contorno ai tempi dell’edificazione di questo luogo di culto, era pressoché uguale come paesaggio, ma assai diverso per importanza. Oltre a non esserci l'autostrada, l’odierna strada provinciale era una carrabile e fu ampliata ed asfaltata nel 1974. Il sentiero che ora vediamo davanti all’ingresso del sagrato era in tempi passati l'unica via di transito. Questo collegava i paesi dell'Alto Vergante tra loro ed in questo luogo vi era anche un crocevia di strade che portavano verso monte e verso le sponde del Lago Maggiore a Lesa.
Infatti, la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo era la Matrice di Graglia, Brovello, Nocco e Comnago. Edificata in un sito di grande passaggio, eletta a luogo di culto per i diversi insediamenti anche abbastanza distanti, come Comnago, posto sul versante opposto della piana di Graglia e del torrente Scoccia/Erno. Vi sono ancora parecchi interrogativi riguardo l'epoca e l'esatta posizione della prima edificazione, forse già su di un luogo sacro al culto pagano.
Il campanile ci dà una indicazione precisa riguardo la sua epoca di costruzione. E’ un bell'esempio di romanico dell’ XI secolo, snello e slanciato a sette specchiature.
Questo stile è presente in tutta Europa con motivi ricorrenti che lo contraddistinguono, come la massiccia architettura in pietra, i particolari degli archetti pensili, le doppie file di mattoni disposti a dente di sega ed aperture monofore e bifore.
Riporta il Vescovo Odescalchi, che nel 1660, la volontà della popolazione sarebbe stata di abbatterlo ed erigerne uno nuovo. Non ne conosciamo i motivi, ma per nostra fortuna questo evento non si verificò.
Sappiamo da testimonianze archeologiche ritrovate al “Castellaccio di Brovello”,
“Scarlasc, e da altri reperti sparsi nelle vicinanze di Graglia, presso “Ponte” , località Grisana, risalenti all'Età del Bronzo”, che questi luoghi sono stati abitati intorno al 3500- 2000 a.C.,
Lungo la vecchia strada di collegamento Graglia-Carpugnino, nel 1819 e nel 1978, sono state rinvenute sepolture romane del I secolo d.C., ed a monte di questa stessa strada, resti di abitato del I secolo a.C- I secolo d.C.
Un'idea del paesaggio antico attorno alla Chiesa, non molto diverso dall'attuale, potrebbe essere suggerito dall'affresco realizzato attorno al Seicento sopra quello della Vergine Assunta, all'interno della Chiesa, dove si nota il “Monte Carmelo” riproporre le fattezze del colle (monte Baré), che sovrasta Graglia con l'abitato di Nocco ed ai piedi uno specchio d'acqua che la leggenda popolare ritiene fosse il Lago Macheo, poi prosciugato, anche se non vi sono prove scientifiche a supporto dell'esistenza di questo specchio lacustre.
La dedicazione a San Pietro, patrono anche dei tagliapietre e dei costruttori di ponti, potrebbe avere una relazione, in quanto, il materiale più usato per la costruzione degli edifici era la pietra e nel bosco poco sopra la Chiesa, vi era una cava dalla quale si dice fosse stato estratto il materiale per la sua edificazione, soprattutto per il manto di copertura del tetto. Inoltre, il “ponte romano” lungo il sentiero che porta a Brovello, era il passaggio obbligato per il transito di merci e persone.
Si potrebbe anche ipotizzare un legame con il Monastero pavese di San Pietro in Ciel d'Oro, che fu possessore di diritti sulla Corte di Baveno e su altre località limitrofe. Verosimilmente il Monastero promosse la costruzione di diverse chiese nei territori del Lago Maggiore- Baveno, e l'edificazione della Chiesa dedicata a San Siro, vescovo di Pavia e San Donato di Sesto Calende “della Scozzola”. I Monaci Benedettini della Scozzola a loro volta fondarono San Donato in Carpugnino.
Il primo documento pervenutoci che menziona Graglia è del 1199, dove una sentenza del Papa Innocenzo III, nega all'Abate di San Donato di “Scozzola”, la riacquisizione di alcuni diritti sulla Curtis di Baveno e località circostanti, che erano passate all'arcivescovo di Milano, tra le quali “Gralia”. Non è citata la Chiesa, ma questa doveva esistere visto che il campanile risale a fine XI secolo, circa 100 anni prima del s.m. documento.
Nel 1365, un altro documento indica la partecipazione al Sinodo Diocesano indetto dal vescovo Oldrado, del “Presbiter Johannes” rector, cioè, titolare che volge le funzioni di parroco. La chiesa era compresa nel territorio di Baveno, da cui si staccò forse per la notevole distanza dalla matrice pievana, rimanendo comunque matrice dei paesi a lei dipendenti: Brovello, Nocco e Comnago. Nel 1347, il vescovo Guglielmo Amidano fa redigere un inventario di beni che le chiese possedevano negli ambiti parrocchiali e non, (donazioni). Questi inventari sono le “consignationes”, le consegne.
Da questo documento si evince che la Parrocchia di Graglia era sottoposta nello spirituale al vescovo di Novara ed alla dominazione territoriale degli arcivescovi di Milano. Ulteriore conferma, è data dalle lettere inviate al Podestà di Lesa dall’Arcivescovo di Milano Roberto Visconti negli anni 1354- 1361, e dalle consegne volute dall'Arcivescovo di Milano Antonio da Saluzzo nel 1380.
La chiesa è sempre nominata con la sola dedicazione a San Pietro, solo nel 1570 Monsignor Serbelloni e nel 1580 Monsignor Bossi, citano la doppia dedicazione di San Pietro e San Paolo.
Nel 1582. abbiamo una prima descrizione dell'edificio, in occasione della visita pastorale del Vescovo Bossi.
La chiesa si presenta orientata, molto più piccola dell’edificio attuale, ed insufficiente per la popolazione dei quattro paesi.
La descrizione aggiunge che vi era una cappella posta ad oriente, detta “maior” ed un'altra nella parte settentrionale.
Erano presenti tre porte ubicate all’interno dell’edificio, una ad oriente dava accesso alla casa parrocchiale, le altre due ad occidente al campanile ed alla sacrestia.
Nella facciata si aprivano due porte, tra le quali vi era la pila dell'Acqua Benedetta.
Si specifica anche, che l'accesso avveniva scendendo alcuni gradini, quindi, la quota interna dell'edificio è stata innalzata successivamente.
Questa descrizione non coincide all'attuale stato, infatti il Sacerdote Motta, nell'inventario del 1617, afferma che ”la chiesa non si descrive, a breve si fabbricherà la nuova per essere detta chiesa vecchia, che non ha forma di chiesa”.
Il coro era però già costruito e nel cimitero vi erano quattro colonne adagiate a terra. Il Fonte Battesimale era a sinistra dell'ingresso sul versante nord.
L’odierno Fonte Battesimale non era ancora stato costruito (XVII secolo). La vasca a forma ottagonale, ora murata ed inglobata nella facciata ed ancora in parte visibile all’interno dell’edificio religioso, tra le porte di ingresso, potrebbe essere il Fonte Battesimale in uso sin al Seicento.
All'interno, sul pavimento, erano visibili due lapidi; una per la sepoltura dei sacerdoti, ancora oggi presente, l'altra, ora non più visibile, per l‘inumazione di qualche maggiorente della parrocchia o per i membri delle confraternite che acquisirono il diritto della sepoltura all’interno degli edifici religiosi, solo verso il secolo XVII.
Monsignor Bossi ordina il rifacimento dell'Altare Maggiore allora composto da un'icona in pietra e da un santuario in legno e la demolizione del Battistero posto a nord, per spostarlo presso l'altare di Santa Maria.
Del Battistero si occuperà anche Monsignor Bascapè nel 1595, ordinandone l'ubicazione in una nuova cappella che si “dovrà costruire a sinistra dell'ingresso”.
La Chiesa comunque doveva essere piuttosto spoglia con un solo confessionale, senza reliquie sacre anche perché la peste del 1576 aveva assottigliato ed impoverito la popolazione.
Difficile, comunque, fare ipotesi sulla forma architettonica dell'edificio: se costruito con una sola navata corrispondente alla odierna navata maggiore, ma più piccola, oppure a due navate con il campanile posto a Sud in corrispondenza dell'attuale presbiterio.
Il lato verso Sud del campanile, era adiacente come lo è tuttora, all’edificio religioso, mentre sul lato ovest, ove vi è il muro con l'affresco della Vergine Assunta, è presente una finestra. Ne consegue che questa navata non può essere la parte più antica come si era ipotizzato.
Delle decorazioni della Chiesa che risalgono al Cinquecento, abbiamo due preziose testimonianze: l'affresco attribuito a Fermo Stella da Caravaggio sul fondo della navata Nord, che rappresenta la Vergine Assunta incoronata ed attorniata da eleganti figure di angeli musicanti, ai piedi gli apostoli, ed il suo sepolcro. Tra gli apostoli la figura di San Tommaso che raccoglie la cintura datagli dalla Vergine Assunta.
L'affresco era in parte nascosto da un altare costruito a posteriori e da una ancona dorata. Il restauro del 2005 ha messo in luce le parti nascoste.
L'artista Fermo Stella (Caravaggio 1490 ca, Bergamo 1564) formatosi presso Gaudenzio Ferrari a Varallo, è presente con le sue opere, sia nelle terre d'origine ma anche nelle zone del lago D'Orta e del lago Maggiore.
L'affresco di Graglia è databile presumibilmente attorno alla metà del Cinquecento. Della fine del Cinquecento è anche il crocefisso posto sull'architrave barocco, 1661,
ma è antecedente allo stesso architrave che gli studi hanno attribuito alla bottega di intagliatori Merzagora, originari della Valle Vigezzo, ma formati in ambito urbano a Milano, dove hanno avuto insegnamento di estrema raffinatezza.
Il Seicento sarà il secolo di maggiore splendore per la Chiesa con importanti trasformazioni, ampliamenti e rinnovi fino presumibilmente al 1671, data visibile al culmine del timpano in facciata.
Un primo inventario del 1602, redatto dal sacerdote Motta, riguarda i beni mobiliari posseduti, le rendite, ed una descrizione della casa parrocchiale demolita nel 1617.
Sempre nello stesso anno ci fu l'ampliamento del coro e la costruzione della sacrestia a Sud.
L’iscrizione recentemente riscoperta lungo una cornice marmorea sul piano dell'altare maggiore, recita: “ad honorem Dei et Beati Petri-Ampli. Ego Leohot/Ardus fech.versu” e sembra riferirsi all’intervento del primo Seicento; “ad onore di Dio e di Pietro; io Leotardo feci ampliare verso + “ (la croce indica forse la direzione dell'ampliamento o la forma a croce greca, assunta dopo i lavori).
Nelle prime visite pastorali post-conciliari si confermano le due navate, e nel 1626, alla visita del Vescovo Volpi, risulta edificata la cappella del Battistero lungo la terza navata a settentrione presso l'ingresso, come la vediamo ancora oggi con il fonte battesimale ottagonale, coperto dal coprifonte intagliato in legno.
Prima del 1652, fu scolpita da Giovanni Paolo Verga l'ancona dorata e dipinta dell'altare della Madonna Assunta, attorno all'affresco del ‘500 di Fermo Stella, ora rimossa per il restauro effettuato nel 2007 dell'affresco stesso.
Nel 1654, dall'inventario dei beni posseduti dalla parrocchia, risulta costruita la navata meridionale con un nuovo altare completato da ancona lignea coeva (metà XVII secolo), opera di Giovanni Paolo Verga, purtroppo spogliata dai furti. Nel 1652, viene descritta come ”nuova con figure dorate e colorite”. Nella nicchia centrale fu posta una bellissima statua scolpita, intagliata e dipinta della Madonna del Carmine del 1650 ca, attribuita al grande intagliatore milanese con residenza ad Arona, Bartolomeo Tiberino (1584 ca, periodo di massima attività 1619, 1654 data del suo testamento).
Nelle due nicchie laterali vi erano due statue lignee dipinte di San Carlo e San Gaudenzio.
L'attività di Bartolomeo Tiberino, tra Lago D'Orta e Lago Maggiore, é da subito a livello imprenditoriale permettendogli di operare a manufatti diversi, per più committenze, contemporaneamente. Tale attività era possibile per il gran numero di maestranze, con competenze diverse, presenti nella sua bottega e per la conoscenza con la famiglia Borromeo che gli commissionava molteplici lavori. Tiberino elaborava modelli che sarebbero poi stati eseguiti dai suoi allievi e seguaci per tutto il Seicento diventando una traccia da seguire.
Il 9 Febbraio 1441, il duca Filippo Maria Visconti dava a Vitaliano Borromeo la terra di Cannobbio con la sua Pieve per la somma di lire 25.283, la terra di Lesa e tutto il Vergante in diocesi di Novara con la Castellanza di Meina in diocesi milanese.
Questo in seguito alle innumerevoli occasioni in cui il Borromeo aveva prestato i suoi servigi al duca ed allo stato.
Iniziava così, per la nostra zona inserita nello “stato Borromeo, una secolare sudditanza protrattasi sino alla Rivoluzione francese. Profondi e duraturi furono gli influssi sulla vita sociale e culturale sui nostri territori, lasciando una indelebile impronta.
I Borromeo furono il tramite della cultura lombarda nel novarese, assumendo un ruolo guida per l'evoluzione artistica su tutto il Lago.
Lo “stato Borromeo” nel momento della sua massima espansione, coprì una superficie di oltre un migliaio di chilometri quadrati, suddiviso in 10 Podestarie tra le quali Arona e Lesa. Un privilegio Ducale riconosceva inoltre a queste terre autonomia dalle magistrature ordinarie di Milano e di Novara.
Gli artisti più vicini a Bartolomeo Tiberino sono stati i Verga e Francesco Perella (1625- post 1688).
Quest’ultimo, specializzatosi nella realizzazione di architravi, realizza quello di San Pietro nel 1661 ca, con ai lati due angeli.
Giovanni Paolo Verga, di origini milanesi, poi trasferitosi ad Arona per sfuggire alla peste, è capostipite di una bottega familiare continuata dai figli Raimondo (1634- 1688) e Clemente (1644- ante 1702), realizzerà nel 1640, nella parrocchia di San Donato a Carpugnino, diverse opere.
Nella seconda metà del Seicento, a San Pietro, si rinnova anche l'altare maggiore, con un grande apparato scenografico ligneo di Clemente Verga, commissionato con contratto del 1684, dalla parrocchia di Graglia e terminato nel 1689. Purtroppo, depauperato da un furto degli anni 1970/1980.
Questa committenza, che godeva dell'appoggio della famiglia Borromeo, rimane l'unica opera di Clemente Verga ad oggi direttamente documentata. Presentava un imponente baldacchino sorretto da angeli poggianti su colonne entro cui si posizionava il tabernacolo a tre ordini di impianto architettonico. L'indoratore Giovanni Carlo Bersani fu chiamato per la rifinitura. Questa pregevole opera terminava sui due lati con le belle statue lignee, scolpite, intagliate e dipinte dei santi Pietro e Paolo con volti fortemente caratterizzati, segno di una nuova modernità rispetto ai modelli di statue e di impianti architettonici sino ad allora in voga.
Sempre del Seicento sono i teleri del presbiterio con le scene di martirio dei Santi Pietro e Paolo e altre tele poste sul fondo con episodi di vita dei medesimi Santi.
Appesi alle colonne della navata centrale, vi sono quattro quadroni che documentano le devozioni locali verso i Santi Antonio Abate e di Padova, ed anche la meno comune, ma ben conosciuta sul Lago Maggiore, venerazione per Santa Eurosia di Jaca, molto cara negli ambienti rurali, invocata per la pioggia e contro le tempeste.
L'introduzione del suo culto nel Verbano è dovuta ai Borromeo e risale al periodo della dominazione spagnola sul Ducato di Milano (1559- 1707). In questo quadro, un cartiglio in latino nella parte superiore riporta: “sia dato lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome”, mentre il paesaggio sullo sfondo raffigura con grande precisione la Chiesa di San Pietro a Graglia, circondata dal muro di recinzione del cimitero con un arco di accesso ad Ovest ed un altro a Sud.
Nel vicino paese di Vezzo vi erano tre edifici religiosi: l'attuale parrocchiale dei Santissimi Martiri Giovanni e Paolo, la seconda a breve distanza dal paese in direzione di Carpugnino, intitolata alla Beata Vergine Assunta ed una terza eretta nel 1680 in comunione con Chignolo, intitolata a Santa Eurosia Vergine e Martire.
Nel Settecento viene realizzato (1691- 1705) l'altare laterale dedicato a San Francesco Saverio (1506- 1552), gesuita e missionario spagnolo in Estremo Oriente, è venerato come patrono delle missioni e grande taumaturgo in casi di difficile soluzione.
L'altro altare laterale posto sulla navata sinistra della Chiesa fu dedicato all'Immacolata Concezione dove ora è visibile un affresco del Cristo in Croce.
Sempre del Settecento, è la bella tela dell'Immacolata dietro l'altare maggiore, non solo per lo stile settecentesco ma anche per il soggetto, in quanto la sua devozione, ebbe particolare impulso da quando nel 1708 Papa Clemente XI proclamò, l'8 Dicembre, festa di precetto per la ricorrenza dell'Immacolata.
Ben conservati sono anche i paliotti degli altari, dipinti su tela, con motivi religiosi floreali e geometrici databili intorno al Seicento/Settecento.
Dalla visita pastorale di Monsignor Bescapè del 1595, veniamo a conoscenza che tre anni prima era stata costituita la società del Santissimo Sacramento, benedetta dal prete gesuita Oristano.
Era formata da un priore, un sotto priore, un tesoriere, un maestro delle voci, due “regolatori”, due infermieri e due pacificatori i cui incarichi duravano tre anni.
Potevano accedere solo uomini, che vestiti di bianco, nella prima domenica di ogni mese, dovevano far celebrare una messa e nello stesso giorno fare in processione il giro della Chiesa. Il numero dei confratelli nel 1705 era quaranta e nel 1752 era sessantacinque. Tramite elemosine e lasciti, ebbero liquidità, potendo dare così prestiti al pari dei fabbricieri, sempre presenti in ogni parrocchia. Il Concilio di Trento non si occupò direttamente di regolamentare tali prestiti ai privati, ma di riformare il clero e l’amministrazione dei beni della Chiesa, il che potrebbe aver avuto un impatto indiretto sulle attività finanziarie del Clero e di chi gestiva tali beni.
Altre due erano le società: “Della Dottrina Cristiana” fondata il 22 Aprile 1619 e “Della Madonna del Carmelo” fondata nel 1644 /1660.
La società del Santissimo Sacramento si trasferì nel 1853 dalla Chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Graglia alla Parrocchia di San Rocco a Brovello, quando in quella data avvenne la separazione definitiva dalla Matrice già concessa nel 1839.
Il Sacerdote Casimiro del Signore, primo parroco di San Rocco, descrive l'elezione dei componenti della Confraternita “...... nella sera del giorno dell'Epifania a voce segreta da tutti i confratelli che depositano a mano del parroco.... ”.
Queste confraternite, come pure i fabbriceri, si riunivano regolarmente per organizzare le loro attività, e nella Chiesa dei SS Pietro e Paolo avevano un loro spazio detto la “ca di batü ”. Piccolo locale con camino, edificato nel 1700 sul lato settentrionale della chiesa che serviva anche da archivio pastorale.
Il nome derivava da “ battuti “perché alcune confraternite si autoinfliggevano dolori corporali in segno di penitenza.
Nel Settecento inizia il declino della Chiesa, in quanto, nel 1605, diventano sedi parrocchiali, prima Comnago con l’Oratorio di S.Giulio, e nel 1633 Nocco con l’Oratorio di S. Stefano.
Nel 1724 le funzioni parrocchiali nei mesi invernali passano per comodità dalla Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, all'Oratorio dei SS. Antonio e Giuseppe nel centro abitato di Graglia, facendo perdere importanza alla Matrice. Malgrado questo minor utilizzo della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo si continuò ad apportarne modifiche, come le balaustre in marmo intorno agli altari in testa alle navate, e per volere del Sacerdote Giuseppe Moroni de Augustinis (1792-1858), parroco a Graglia per trentacinque anni dal 1823, con suo contributo in denaro, fu edificato nel 1830 circa, il portico con affresco del valsesiano Giuseppe Antonio Avondo. De Augustinis fece rinnovare al contempo il pavimento della chiesa e l’ornato della navata principale. Per le spese lo aiutò l’amico don Giuseppe Picena, nativo di Graglia, canonico dell’isola di S. Giulio d’Orta. Alla sua morte lasciò al Picena i danari per ampliare la sacrestia, fornirla di nuovi arredi ed innalzare la cappella Dell’Addolorata. Questa nuova costruzione laterale posta a Sud, di raffinato disegno a pianta circolare e decorata con scene della vita di Maria, ospita ora una statua lignea, scolpita, intagliata, dorata e dipinta della Madonna Addolorata del XVII secolo, di bottega aronese.
L'importanza della Chiesa è anche testimoniata dalle numerose reliquie descritte nell'inventario del Sacerdote Josephus Antonius Falciola nel 1792 ed anche dai numerosi ex-voto posti intorno all'altare della Madonna del Carmine.
Nel medesimo inventario, il cimitero è posizionato a settentrione, mentre prima del Seicento era nella parte meridionale, sempre davanti alla chiesa ed attorno ad una colonna in lapideo, ancora oggi esistente, con una croce di ferro posta sulla sua cima.
Si accenna anche ad un ossario, che è la costruzione oggi diroccata, posta a meridione, dove, ancora negli anni 2000, erano visibili sui muri esterni alcune porzioni di intonaco di colore senape chiaro con l’effige della morte in forme di teschi e tibie, figure comuni agli ossari di epoca seicentesca, dipinte da Giuseppe Antonio Avondo nel 1830 contemporaneamente alla decorazione del portico.
Nel 1853, al termine dei lavori per la nuova chiesa di San Rocco a Brovello, iniziò ad officiare il primo parroco nativo di Brovello, Casimiro del Signore, diventando così definitiva la separazione concessa dal Cardinale Morozzo il 28/08/1839, della Chiesa di Brovello dalla Matrice di Graglia.
Il 4 ottobre 1853, in occasione della vista pastorale di Monsignor Giacomo Filippo Gentile, i municipali di Graglia, con sindaco Teodoro Diana, sottoscrivono un memoriale per ottenere il titolo di Pievano ai preti della Matrice. Questo viene concesso per redimere alle perdite delle dipendenze di Comnago, Nocco, Brovello.
Per quanto riguarda i decori pittorici all'interno della Chiesa, nell’anno 2005, sono state effettuate diverse stratigrafie, che hanno permesso di individuare, oltre alla parte nascosta dell'affresco della Vergine Assunta del Cinquecento, una rifinitura a bianco di calce cucchiaiato del XVII secolo, decorazioni di gusto neoclassico con stucchi in rilievo nel fregio del cornicione, con metope di forma romboidali e triglifi, dipinti in grigio, bianco, azzurro, motivi floreali e geometrici sulle volte risalenti al XVIII secolo. Lo stato attuale visibile delle decorazioni, eseguite da Giuseppe Antonio Avondo, risale al 1830 ca.
Alcuni lavori di restauro e di risanamento conservativo, compreso il ripristino completo del tetto in piode, sono stati effettuati nei primi anni 2000.
Sono ancora diversi gli interrogativi e quindi le indagini da approfondire per questo luogo di culto che racchiude tanta storia vissuta e che ha ispirato e continua ad ispirare una fede semplice, ma radicata e professata da secoli.
Raccolta di informazioni, studi e tesi di laurea elencati in bibliografia. Riordino cronologico degli eventi ed osservazioni a cura di:
Anna T. Marzagaglia-Silvio Tresoldi
Maria Angela De Giovannini-Giovanni Travaini Marina Picena-Renato Marocco
Luglio 2025
Fotografie :
Luca Cornacchiari Fotografo Anna T. Marzagaglia
BIBLIOGRAFIA
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Lago Maggiore storia-paesaggi-itinerari Alberti Libraio Editore-Intra 1990
Vincenzo De-Vit
“ Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee” Opere varie, I-IV,
Prato 1875-78
Don Pier Antonio de Stefanis
“Memorie storiche su Carpugnino ed i suoi dintorni compreso Massino” Dattiloscritto da Olografo 1878
Carlo Del Zoppo
“Cenni storici su Graglia e Brovello” Parte prima: 1989
Francesco Possi-Giovanni Travaini “Stropino”
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Anna T. Marzagaglia-Giovanni Travaini “Carpugnino ed il suo Romanico”
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“Pastori sotto l’ombrello” (1948-1981)
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“Le vigne del Mottarone”
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“Massino Visconti ed i suoi Lusciàt”
A.G.V. Varallo 1968
Giuseppe Buschini
“Nel Vergante dal Lago Maggiore alla collinna” Leone Libreria Editrice
Stresa 1989
Bruna Giop-Grazietta Buttazzi
I Ouaderni dell’Ecomuseo “ Gignese Museo dell’Ombrello e del Parasole” Andrea De Luca Editore Luglio 2004
Roberto Corbella “Celti”
Guide Macchione 2000
Ausilio Priuli
“Incisioni rupestri nelle Alpi” Priuli C Verlucca Editori 1983
Fabio Copiatti-Elena Poletti Ecclesia “Messaggi sulla Pietra”
Collana Documenta Parco Nazionale Valgrande 2014
Fabio Copiatti-Alberto De Giuli
“Sentieri antichi” Itinerari archeologici nel Verbano, Cusio, Ossola Grossi-Domodossola 1997
Giulia Castelli Gattinara
Airone numero 221 settembre 1999 Editoriale Giorgio Mondadori
Si ringraziano per il supporto dato con la loro specifica competenza, la comune passione e gli utili suggerimenti:
- Dottoressa Elena Poletti Ecclesia - Archeologa, coordinatrice del Museo del Granito e Rete Museale Alto Verbano, conservatrice archeologa del Museo Archeologico di Mergozzo, titolare Aligraphis.
- Vittorio Grassi ricercatore locale, Presidente Società dei
- Professor Stefano Martinella -Storico dell'Arte Università Statale di
Ouanto scritto, non vuole e non può essere definitivo ed esaustivo.
Sarà possibile ampliarlo, modificarlo ed arricchirlo venendo in possesso di altre informazioni e testi da parte degli scriventi.
Verranno aggiornati i contenuti nel OR-CODE inserito sui cartelli informavi, per chi volesse approfondire le notizie, averne di nuove e visionare fotografie.
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